Ho un sacco di progetti

La gestione dei progetti come strumento di innovazione, di organizzazione aziendale ma anche di cambiamento e di sviluppo personale.

“Ho un sacco di progetti” è la frase che indica una persona attiva, entusiasta, orientata al futuro. In effetti l’etimologia risale al latino pro-iectare, lanciare in avanti, ma non esprime solo l’intenzione di fare qualcosa ma anche un piano di lavoro strutturato in cui non solo è stato definito un obiettivo ma anche il modo di conseguirlo.

Nel mondo aziendale si è affermato il termine inglese project management vale a dire tutte le attività volte al conseguimento di un obiettivo di un progetto definito, oltre che dal suo obiettivo, anche dalla caratteristica di essere non ripetitivo e con vincoli ben precisi di tempo e costo. Le aziende hanno sviluppato strumenti, capacità ed una vera e propria cultura in proposito fino a che negli anni ’60 sono nate addirittura delle organizzazioni con lo scopo di diffondere le prassi e creare degli standard di comportamento. Si tratta del PMI (Project Management Institute) e della IPMA (International Project Management Association).

Ma, come sempre, queste capacità non sono nate con il mondo industriale come noi lo conosciamo. Si pensi alle grandi opere dell’uomo come la Piramide di Cheope, terminata nel 2560 a.c., il Colosseo, realizzato nel 80 d.c. o la Basilica di S.Pietro completata nel 1626 dopo oltre 120 anni di lavoro: ci si rende conto come progettazione complessa, coordinamento delle attività di molte persone, gestione dei tempi, comunicazione siano qualcosa che affrontiamo da molti secoli in parti del mondo anche lontane e non in contatto. Immaginate di essere il project leader per la progettazione e realizzazione di uno di questi 3 monumenti: la più grande tomba, il più grande anfiteatro e la più grande chiesa del mondo…..  Di quali tecnologie avreste bisogno? Che tempi e quale budget richiedereste al committente?

Il primo ad occuparsi di creare uno strumento per la gestione dei progetti fu l’ingegnere americano Henry Gantt che nel 1915 circa creò il diagramma che prende il suo nome, utilizzando un asse orizzontale per i tempi ed un asse verticale per le attività del progetto. Una barra in corrispondenza dell’attività indica quindi la durata dell’attività stessa, ed il diagramma è una rappresentazione grafica di un calendario di attività.

Questo strumento viene usato ancora oggi, tanto che esistono delle app per creare questi diagrammi che sono comunque degli output di strumenti più complessi. E’ divertente notare che nel mondo industriale oggi sono universalmente noti come diagrammi di Gantt o Gantt Chart mentre negli enti pubblici vengono chiamati cronoprogrammi, terminologia probabilmente adottata nel ventennio fascista quando i termini stranieri erano al bando.

Un grande passo in avanti fu, alla fine degli anni ’50, la creazione di strumenti basati sulle cosiddette tecniche reticolari che avevano il grande vantaggio di essere fondate sulle interdipendenze tra le attività valutando le singole durate e poi calcolando i tempi del progetto. I 2 più importanti sono il PERT e il CPM.

Il PERT (program evaluation and review technique) è stato sviluppato da una nota società di consulenza per la Marina degli Stati Uniti, con l'obiettivo di ridurre i tempi ed i costi per la progettazione e la costruzione dei sottomarini nucleari armati con i missili Polaris, coordinando nel contempo diverse migliaia di fornitori e di subappaltatori. Il Pert utilizza un metodo statistico per definire la durata delle attività. 

Il secondo è il CPM (critical path method) che determina la durata minima di un progetto attraverso la sequenza di attività critiche. Tale criticità deriva dal fatto che un ritardo in queste attività determina un ritardo nell’intero progetto. 

Tali metodi, molto efficaci in fase di analisi, richiedevano un costo molto rilevante in fase di aggiornamento soprattutto quando venivano introdotte modifiche nel progetto con conseguenti modifiche nel reticolo delle attività.

La pressione sui costi ed i tempi ha generato alla fine degli anni ’90  l’ Agile Project Management, basato su alcuni principi quali lavorare cercando valore per il cliente, creare funzionalità piccole ma complete ed incrementabili nel tempo, utilizzare gruppi di lavoro piccoli ed integrati, introdurre miglioramenti piccoli e continui. Si tratta di metodi adattativi e flessibili che cercano di scomporre un progetto complesso in sottoprogetti da aggredire rapidamente per acquisire competenze da utilizzare nel seguito del lavoro. In generale si ritiene che le persone e le loro interazioni debbano essere la base di funzionamento del progetto. Lo strumento principale si chiama SCRUM, cioè pacchetto di mischia. Tali metodi sono nati dallo sviluppo del software e si sono estesi agli altri settori industriali.

Ho utilizzato professionalmente tutti i metodi sopra descritti, vorrei però sottolineare che per chiunque ci sono progetti che non sono strettamente professionali, si tratta di progetti di vita, di cambiamento e di crescita personale. Anche in questo caso l’Agile Project Management forse ci può aiutare: prestiamo attenzione alle relazioni con gli altri, facciamo degli esperimenti per apprendere in piccolo ciò che potremo riutilizzare, accettiamo di essere pronti ad adattarci ai cambiamenti dell’ambiente, cerchiamo il valore più che la forma.  Chissà che ne direbbe l’ingegner Gantt?

Enrico Perversi