Si va in meta con un pacchetto di mischia ben affiatato
Una metodologia agile per progetti efficaci di sviluppo prodotti, innovazione e cambiamento
La parola progetto è una di quelle più utilizzate in azienda e fuori per identificare uno sforzo per creare qualcosa di nuovo o di diverso, sia esso un prodotto, un servizio, un evento o una modalità di lavoro. E’ un risultato non ripetitivo spesso da conseguire con vincoli di tempo, di costo, di persone. Nell’accezione comune c’è il progetto di un viaggio, di un nuovo prodotto, di vincere il campionato di calcio, di lanciare un nuovo marchio.
La gestione dei progetti si è arricchita negli anni di metodologie e strumenti che hanno ricevuto un notevole impulso anche dallo sviluppo dell’informatica: ricordo con piacere quando potevo operare sul mio pc trascinando icone e creando in pochi minuti sequenze di attività correlate all’interno di un progetto ottenendo così tempi totali, il cammino critico, i costi. All’inizio degli anni ’80 questo veniva fatto con schede perforate da inserire in un grosso computer che dopo qualche ora forniva la lista degli errori formali per poi avere risultati su tabulati enormi davvero poco leggibili se non dagli addetti ai lavori.
Il risultato era spesso illustrato mediante un cronoprogramma o diagramma di Gantt (assistente di Frederick Taylor negli anni ‘20 del secolo scorso). Oggi sul mio tablet ho una app che mi permette di crearne uno a colori in pochi minuti. Tuttavia da quando fu creato negli anni ’50 il PERT, la più nota metodologia per la gestione dei progetti, per gestire la costruzione dei sottomarini nucleari americani armati con missili Polaris, sono cambiate molte cose, ma una in particolare: il tempo a disposizione.
Una scomposizione di un progetto in attività elementari è qualcosa di molto difficile da realizzare, soprattutto perché questo richiede di definire tutto prima che le attività comincino. Immaginate di dover definire le maniglie delle porte di casa quando ancora c’è il prato verde. Vi si chiede qualcosa con una priorità molto bassa, non sapete ancora quante stanze avrete, dove sarà la cucina e dovete preoccuparvi di un dettaglio. Non avete tempo di apprendimento, rischiate di ordinare qualcosa che sarà obsoleto nel momento in cui dovrete acquistarlo, infine man mano che la vostra casa prenderà forma le vostre richieste cambieranno, vi accorgerete di requisiti a cui non avevate pensato prima.
Tutto questo applicato a prodotti e servizi in azienda si traduceva in contratti complessi, conflitti, risultati molto diversi da quello che il mercato richiedeva e in ritardi cronici. Sono quindi nate metodologie diverse, definite “agili” in quanto iterative, adattative, veloci e flessibili. Una di queste si chiama SCRUM, cioè pacchetto di mischia, quello del rugby dove un gruppo di persone opera come squadra per raggiungere un obiettivo passandosi la palla ripetutamente ma soprattutto adattandosi e reagendo alle situazioni sempre diverse che la squadra avversaria propone. Questa metodologia assicura trasparenza nella comunicazione e crea un ambiente di responsabilità collettiva e miglioramento continuo. Il suo punto di forza è di essere fondato sulle persone, su cicli di lavoro brevi e concentrati, chiamati “Sprint”, ma soprattutto di utilizzare team interfunzionali, auto-organizzati con delega decisionale autentica.
Vediamo in concreto come funziona un ciclo Sprint. Il progetto parte dalla definizione degli obiettivi generali, definiti in una riunione con i clienti o gli utenti finali, che vengono formalizzati per consentire al Responsabile del Progetto di definire una lista dei requisiti del business messi in ordine di priorità e scritti come richiesta di ogni singolo utente. Questo è un punto molto importante perché permette di focalizzarsi su pochi aspetti principali, nel nostro esempio precedente della casa le priorità potrebbero essere il numero di stanze da letto richieste, la necessità di un giardino e la facilità di accesso per persone con inabilità. Inizia poi uno dei cicli cosiddetti Sprint la cui durata va da una a sei settimane con lo scopo di generare dei risultati parziali ma concreti oppure una ulteriore definizione del risultato finale. Ogni Sprint è un sottoprogetto nel progetto, sono previsti rapidi aggiornamenti quotidiani tra i membri del team di lavoro fino alla presentazione al responsabile del progetto dei risultati che, se accettati secondo logiche condivise ad inizio lavoro, consentono di passare allo Sprint successivo per ricominciare il ciclo. La metodologia contiene molti altri strumenti, tuttavia credo sia importante sottolineare alcuni principi ispiratori che ne hanno decretato il successo in un largo numero di aziende.
Il primo è quello di privilegiare le persone e loro interazioni rispetto a processi e strumenti, sono le persone che si assumono le responsabilità, partecipano e realizzano scegliendo come operare.
Il secondo è quello di realizzare un prodotto o servizio anziché generare documentazione, partendo magari da prototipi parziali o semplificati da arricchire e dettagliare durante il ciclo di vita grazie alle indicazioni dei clienti. L’enfasi viene posta su risultati concreti anche se parziali anziché su analisi teoriche.
Il terzo consiste nell’anteporre la collaborazione con il cliente alla negoziazione del contratto, il destinatario del progetto non può essere coinvolto solo all’inizio ed alla fine, deve avere l’opportunità di percorrere la curva di esperienza contribuendo allo sviluppo.
Infine è necessario avere un approccio di adattamento al cambiamento anziché perseguire la conformità ad un piano definito quando le richieste del cliente, le tecnologie disponibili e le regole del settore erano diverse.
Enrico Perversi