Lavorare felici? Ma certo!
Se sei più consapevole, vivi meglio, lavori meglio e stai meglio con gli altri.
Una nota catena di ristoranti in USA si chiama TGI Friday’s, vale a dire “grazie a Dio è venerdì” e riprende un modo di dire diffuso che esprime tutta la infelicità di chi passa una intera settimana lavorativa in attesa del weekend come momento di vita piacevole ed appagante. Ma c’è di più, spesso non ci si libera la mente dagli impegni attesi per la settimana successiva e la domenica sera è spesso dedicata a prepararsi alle scadenze del mattino dopo.
La ricerca della felicità al lavoro, o almeno di una soddisfacente integrazione tra vita lavorativa e personale, è quindi un bisogno reale e le aziende stanno cercando di affrontare il problema consapevoli che la sua risoluzione ha anche una ricaduta positiva su prestazioni e competitività. Il benessere delle persone è legato alla ricerca di senso nell’attività lavorativa, ad una relazione positiva con gli altri e alla riduzione dello stress, inoltre attraversa trasversalmente tutti i livelli aziendali e assume sempre maggiore importanza con le nuove generazioni.
Un approccio al tema che viene sempre più utilizzato è quello dello studio, sviluppo e insegnamento dell’intelligenza emotiva definita da quelli che ne sono considerati i padri, cioè Peter Salovey e John Mayer, come il saper monitorare i sentimenti e le emozioni proprie e altrui, valutarli ed utilizzare queste informazioni per indirizzare il proprio pensiero e le proprie azioni. Le aziende che la promuovono tra i dipendenti, e sono molte tra cui Google, Unilever, General Motors, identificano tra i vantaggi un netto miglioramento delle prestazioni professionali, una spiccata attitudine alla leadership e la capacità di creare concrete condizioni per il benessere.
Il dato sicuramente più interessante è che il nostro cervello può essere addestrato all’intelligenza emotiva anche negli adulti, esistono molteplici prove scientifiche di come si possa modificare la struttura cerebrale e le sue funzioni per fronteggiare situazioni di ansia, stress, o emozioni negative. Il primo passo per allenare l’intelligenza emotiva è il coltivare l’attenzione, cioè scegliere la nostra reazione a fronte di uno stimolo emotivo anziché abbandonarsi ad un automatismo. Si pensi, ad esempio, alle normali vicende del traffico, anziché reagire con un insulto o con gesti poco edificanti, è possibile fermarsi un secondo e scegliere come comportarsi. Inutile dire che questo evita spesso conseguenze davvero spiacevoli.
Come coltivare l’attenzione? Si ricorre alla mindfulness o meditazione consapevole. La consapevolezza viene definita da Ellen Langer, docente di psicologia ad Harvard, come il processo che consiste nel notare attivamente nuove cose e tra i benefici che ne derivano indica innanzitutto una prestazione più soddisfacente, inoltre si ricorda meglio ciò che si è fatto, si colgono al volo le opportunità, è più facile stare attenti, si diventa più creativi, si apprezzano di più gli altri e viceversa, si diventa più carismatici. Insomma una specie di panacea di tutti i mali!
L’allenamento alla consapevolezza si fa mediante il semplice esercizio di concentrare l’attenzione sulla respirazione e ogni qualvolta ci si distrae e pensieri di ogni tipo attraversano la mente, si riporta dolcemente l’attenzione alla respirazione. Tutto qui, molto facile e apparentemente banale. Le evidenze scientifiche degli effetti di questa pratica sono numerosissime e consolidate anche se ogni giorno si aggiungono nuove scoperte sulla neuroplasticità del nostro cervello, ripetere l’esercizio frequentemente genera calma e chiarezza mentale permettendoci di apprezzare ogni attimo.
La consapevolezza è una antica pratica buddista di cui oggi stiamo verificando le solide basi scientifiche, viene utilizzata non solo in ambito aziendale ma anche clinico per la riduzione dello stress e la gestione del dolore in malati cronici. Non c’è nulla di religioso o esoterico nei programmi che le aziende promuovono, tuttavia non si può non notare che tra le mille implicazioni di questo approccio vi è una ricomposizione della separazione tra vita professionale e privata, un diverso rapporto con il tempo ed il suo utilizzo, uno spostamento dalla competizione alla collaborazione.
Dopo 2500 anni abbiamo (ri)scoperto la via?
Enrico Perversi
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su La Rivista mensile della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera.
Lo riproponiamo, in considerazione del fatto che la mindfulness è un modulo della metodologia di intervento Sestante che proponiamo per il miglioramento dei risultati d'impresa, attraverso le persone.