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Le strategie di risposta degli individui alla richiesta di disponibilità totale verso il lavoro possono essere dannose per le organizzazioni.
Conciliare vita privata e professionale è una delle sfide di cui più si legge e discute, anche le organizzazioni più innovative richiedono spesso una disponibilità quasi totale grazie ai dispositivi elettronici che connettono tutti 24 ore su 24. Ho trascorso una vacanza in viaggio in Africa e, benchè mi ritenga consapevole del problema, sono rimasto sorpreso di come cambino le dinamiche sociali in un gruppo quando il wifi non c’è.
Disponibilità totale dunque, assoluta dedizione al lavoro, connessione permanente. Un recente articolo dell’autorevole Harvard Business Review avanza tuttavia l’ipotesi che tale situazione sia dannosa non solo per l’individuo ma anche per le organizzazioni che trasmettono questo valore. Gli autori riportano una classificazione delle strategie che vengono messe in atto dalle persone per gestire lo stress di essere sempre disponibili: la prima è l’accondiscendenza, l’individuo si conforma alle richieste, accetta la pressione. Quando il lavoro è interessante, questa strategia può portare ad una carriera gratificante, tuttavia l’individuo è molto vulnerabile agli imprevisti perché punta tutto solo sulla professione, inoltre spesso riproduce la pressione che riceve sui collaboratori rischiando di pregiudicare il loro sviluppo armonico.
La seconda è la dissimulazione, le persone dedicano tempo ad attività extra-lavorative senza farlo sapere all’organizzazione. Qualcuno si dedica a clienti situati in un’area ristretta vicino all’ufficio, altri al contrario sfruttano la lontananza dalla sede per autoregolare i propri orari di lavoro. Ricordo agli inizi della mia attività lavorativa un mitico collega anziano che teneva sempre una giacca appesa in ufficio, chi lo cercava pensava fosse in riunione invece lui se ne era andato da ore. Questa strategia presenta certamente un costo psicologico per l’individuo che nasconde la propria identità, ma soprattutto per l’organizzazione perché le ricerche mostrano che nel tempo i dissimulatori hanno una percentuale di turnover elevata e qualche difficoltà nella gestione delle persone, ma soprattutto, non combattendo apertamente la cultura della disponibilità totale, permettono la sua sopravvivenza.
Infine, vi è la strategia di chi esce allo scoperto condividendo apertamente tutti gli aspetti della propria vita extraprofessionale chiedendo addirittura di cambiare la struttura del lavoro e accettando le penalizzazioni che spesso ne conseguono. Tale situazione non riguarda solo le donne, anche percentuali significative di uomini fanno questa scelta. In questo caso le persone si fanno conoscere dai colleghi, vivono una vita più autentica, tuttavia le penalizzazioni alla lunga possono creare risentimento, specie a fronte di risultati eccellenti conseguiti; talvolta succede anche che vi siano difficoltà nella gestione dei collaboratori.
L’articolo conclude sottolineando che la pressione è ai massimi storici, tuttavia qualcosa può essere fatto dai leader per il benessere delle persone ma anche per il successo delle organizzazioni. Per esempio, devono coltivare tutti gli aspetti della propria identità e comunicarli apertamente, possono privilegiare i premi basati sul risultato e la crescita dei collaboratori piuttosto che sulle ore di lavoro, possono proteggere la vita privata dei dipendenti evitando carichi di lavoro esagerati e richieste urgenti.
Un caso tipico è quello delle mail serali e della comunicazione elettronica in generale. Quando un capo invia una richiesta fuori orario deve essere consapevole che chi adotta la strategia di accondiscendere risponderà rapidamente perché raramente ha progetti per la serata ma rischia di logorarsi, chi dissimula fornirà una risposta interlocutoria e rassicurante dicendo che ci sta lavorando anche se si trova al cinema ma non creerà un rapporto stretto di fiducia, infine chi è uscito allo scoperto se risponderà chiederà di parlarne all’indomani ma potrà non cogliere appieno una urgenza reale straordinaria.
Ogni leader deve aver chiaro che una comunicazione via mail può essere molto critica perché la posta elettronica è pratica e veloce ma non consente di trasmettere il tono della voce e neanche l’espressione del viso ed il linguaggio del corpo. Una comunicazione riguardo una situazione difficile richiede la consapevolezza che dall’altra parte dello schermo ci sono persone. Dopo aver scritto la mail è utile verificare se il contesto emozionale del messaggio sia poco chiaro, addirittura può essere importante mettersi nei panni del destinatario ed eventualmente riscrivere il testo.
Infine, prima di premere “Invia”, tre lunghi respiri consentono di focalizzarsi sul fatto che si è assolutamente liberi di non spedire affatto la mail.
Enrico Perversi
Questo articolo è stato originariamente pubblicato su La Rivista, mensile della Camera di Commercio Italiana per la Svizzera.
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